È da diverso tempo che rifletto sulla necessità delle notifiche.
Per giungere alla conclusione che no, per la maggior parte non servono.
Ma nel weekend c’è stato un evento scatenante che mi ha portato a rivedere ulteriormente alcune scelte. Non solo riguardo alla gestione delle notifiche ma all’utilità di avere un ennesimo canale di comunicazione sempre aperto.
Ho cancellato Telegram, la mia app di messaggistica preferita per mille motivi – mio mezzo di comunicazione prediletto e diretto soprattutto con le persone più importanti della mia vita, perché una conversazione di gruppo mi ha fatto stare particolarmente male, rigettandomi in una serie esagerata di indecisioni, preoccupazioni e ansie fino a sfociare in un attacco di panico.
Al netto del singolo episodio e ristabilita la calma, è stata anche l’occasione per una riflessione più generale sul potere delle parole (argomento hot del momento, considerando quanto successo durante il programma Felicissima Sera, condotto da Pio e Amedeo su Canale 5, o le bellissime parole durante di Fedez e Michele Bravi durante il Concerto del primo maggio e il tentativo dei vertici di RaiTre di bloccare e censurare l’intervento di Fedez stesso) e sulle necessità di mantenere sempre aperto un flusso costante di comunicazione.
E la risposta che mi sono dato è che si può sopravvivere anche senza, sia nel mondo lavorativo che nella sfera personale.
La pandemia e il conseguente lockdown ci hanno rinchiuso in casa e quasi azzerato le interazioni fisiche. E come risposta, abbiamo scoperto tutti troppo velocemente e (quasi tutti) senza guida il mondo del lavoro da remoto (non chiamiamolo smart, please) e delle comunicazioni interpersonali solo tramite canali digitali e non più fisici.
In entrambi i mondi, quello personale e quello lavorativo, siamo diventati sempre online, sempre disponibili, sempre interconnessi e senza alcuna barriera di protezione.
Eppure, non serve.
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