(ATTENZIONE: spoiler, lettura a vostro rischio e pericolo)
Forse uno dei film più belli su un supererore MARVEL, pur nella sua atipicità.
Un film che ti prende lo stomaco sin dai primi minuti e non lo lascia più andare via, stringendo la morsa sempre e sempre di più.
Duro, doloroso, faticoso da affrontare e da digerire, anche a luci di nuovo accese.
La differenza principale è che qui tutto è basato sul conflitto. Un conflitto, blando e inesistente negli altri film MARVEL, che invece in Logan è costruito bene, anche troppo, e riesce a generare forti emozioni.
È quello stesso conflitto omnipresente in Daredevil e in Jessica Jones di Marvel. E no, non è il conflitto con il cattivo di turno. È il conflitto contro se stessi, contro il peso delle proprie azioni ma, soprattutto, contro il tempo.
È lo scorrere del tempo che fa paura a tutti i protagonisti: Xavier è divorato dall’Alzheimer e ha bisogno di medicine a intervalli regolari altrimenti perde il controllo dei suoi poteri e blocca chiunque sia intorno a lui. Logan non ha più le capacità rigenerative di una volta ed è lentamente consumato da quel metallo che finora lo ha reso invincibile e la bambina deve arrivare al punto di ritrovo in tempo per riuscire a mettersi in salvo.
Non c’è nessuna grande minaccia che rischia di distruggere il mondo, nessun dio che si è risvegliato, non ci sono rischi di creare paradossi temporali, non ci sono combattimenti epocali nelle strade di NY.
C’è solo questo ticchettio costante e insistente e tu, come spettatore, non vedi l’ora che si sbrighino a fare questo e quello, per poter risolvere la situazione in fretta e arrivare a destinazione.
E invece no. Perché ci sono dei chilometri da fare, situazioni da risolvere, battaglie da affrontare. Battaglie che non sono lunghissime, non occupano più della metà della durata del film, non mostrano eccezionali effetti speciali. Sono solo violente e brutali, tra le più brutali mai viste in un film di supereroi.
È una brutalità che non lascia un segno solo nello spettatore, che deve subire questa violenza visiva passivamente.
È una brutalità che lascia un segno prima di tutto nei protagonisti sullo schermo: le ferite di Logan sono più che visibili e non si rimarginano. È una brutalità che non risparmia quelle brave persone che sono riusciti a dare un tetto e un’ultima serata serena al gruppo in viaggio. È una brutalità che non risparmia neanche la bambina, che dovrà per sempre convivere con le conseguenze delle sue azioni.
In fondo, se togliamo dai giochi la parola “supereroe”, il film non è altro che il viaggio di un padre malato che, con al seguito un nonno altrettanto malato, accompagna la figlia verso una nuova vita con una nuova famiglia. È una circostanza comune, quasi ordinari, a cui in cui ci si può facilmente relazionare e con cui ci si può immedesimare.
E forse è proprio per questo che il film è così doloroso e faticoso da affrontare. Perché è vicino a noi, perché Logan non è più un supereroe: è quasi una persona comune che deve affrontare problemi comuni. E non è per nulla facile.
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