Mesi e mesi di non scrittura più su questo spazio. Un sacco di bozze di post più o meno completi e mai finalizzati. E alla fine, seguendo l’esempio di Domitilla, la voglia di provare a pubblicarli, così come sono. E magari, ritrovare la voglia di scrivere qualcosa di nuovo.
Questa è una bozza dell’Agosto 2016, pubblicata così come l’ho ritrovata.
Una bozza del mio primo amore per Cosmo e per un album che – a distanza di 2 anni e mezzo, un nuovo suo doppio album e 3 suoi concerti visti + un djset – mi continua a dare le stesse emozioni.
C’è qualcosa, forse di sbagliato, in me che non mi ha mai fatto considerare troppo la musica italiana. Eppure a questo giro e per quest’estate, c’è solo un disco, italiano, che non riesco a togliermi dalla testa e dal repeat dello Spotify.
Si tratta dell’ultimo di Cosmo, che poi in realtà sarebbe il suo secondo disco e in realtà è il suo primo che ho ascoltato, tutto per colpa (anzi, per merito) di Francesca.
Lo sto ascoltando ormai da mesi e, anche se di tanto in tanto lo lascio un po’ in disparte per ascoltare altro, va a finire che lo ascolto. Sempre. Che sia a casa mentre lavoro, sui mezzi, in macchina. E sempre ha quell’effetto di farmi muovere il piede a tempo e la voglia di mettermi a cantare a squarciagola ogni verso, anche se il più delle volte non me le ricordo e le confondo tra loro.
Ha quelle basi techno e house che me lo fanno amare alla follia e devo ammettere che trovo ancora strano sentire quelle sonorità abbinate a testi italiani. Testi che per la maggior parte infondono una sensazione infinite di freschezza, positività e felicità e forse, in questo, il manifesto si trova proprio ne L’ultima festa, la traccia che dà il nome all’album e lo riempe con tutta la forza di quel bevo la notte, grido più forte, rido di te e quando mi dici che non esisto tu sparisci con me; bevo la notte, sfido la morte, rido, perché il cuore mi scoppia, picchia e mi porta su!
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