E quindi oggi un’altra levataccia per andare a correre e provare, per la prima volta, a completare questi 21km e 97m della mezza maratona alla StraMilano.
A parte il disorientamento iniziale nel villaggio atletico all’Arena per cercare l’area di consegna del pettorale e un piccolo disguido tecnico che già mi immaginavo triste in un angolo mentre tutti gli altri correvano, alla fine ce la si è fatta.
Trovarsi con gli altri #cityrunners, le foto di rito, incolonnarsi nei vari punti di partenza colorati (qui ovviamente colore bradipo… ehm… bianco) e poi le 11, lo start e l’unica certezza: non si torna più indietro, si deve arrivare alla fine.
Io e Annalisa in coppia a darci sostegno e ritmo a vicenda e passo dopo passo si è preso il passo giusto. Alla fine non avevamo mai corso 21km97m: il nostro best si fermava a quei 20km e qualcosa fatti un paio di settimane fa al Parco di Monza, per un allenamento #cityrunners di preparazione alla MCM.
Siamo partiti con due obiettivi in testa. Uno forse un po’ irrealistico, suggerito da quella scheggia di Nino: finire sotto le 2 ore. Uno un più reale: finire sotto i 6’/km.
Non ero pronto, per niente: la levataccia, la colazione forse sbagliata, l’aver fatto tardi la sera prima, la paura di sentire di nuovo male al ginocchio, la partenza alle 11. E così ho accusato tantissimo i primi km, sia perché quell’inizio di percorso non mi entusiasmava, sia perché eravamo ancora troppo ammassati.
Ma poi è arrivato il bello.
Smaltita un po’ la massa siamo riusciti a tenere il nostro ritmo senza troppi intralci, senza pensare a tempi e chilometri ma alzando invece lo sguardo e rimanendo meravigliati da una giornata così limpida, da una città così bella da osservare (e amare ancora di più) da un punto di vista solitamente inaccessibile, perché occupato da macchine e traffico.
Dopo la salitina ammazzagambe dei Bastioni, il percorso girava su Melchiorre Goia, mostrando Porta Nuova in tutta la sua bellezza: i palazzi di Piazza Alvar Alto e il Diamantone da un lato, il corpo alto di Palazzo Lombardia dall’altro, in lontananza.
E correndo mi accorgevo di tanti dettagli: non solo ville e palazzi mai notati prima, ma era bellissimo osservare i comportamenti delle persone a bordo percorso: bambini sorridenti che allungavano il braccio per darti il cinque, perfetti sconosciuti che facevano il tifo, ma anche purtroppo tanta incivilità.
Il nervosismo delle macchine incolonnate che, nonostante il fiume di runners e gli sforzi dei vigili, suonavano e volevano comunque passare per il percorso. Pedoni (lenti) che attraversavano non curanti di quello che stava succedendo incontro (vedasi la signora anziana che si è buttata praticamente addosso ad Annalisa o alla coppia di turisti jap con trolley al seguito).
Al km 14 ho iniziato a sentire veramente fatica, forse più psicologica che fisica. Non so perché ma non ce la facevo più. Forse era ancora colpa di quella parte di percorso non così entusiasmante e intanto pensavo troppo a quanto sarebbe stato bello starsene a letto tranquillo a riposare o sdraiato sul divano a vedere qualche serial tv. Però anche lì alla fine il mantra era uno: passo dopo passo, è un passo in meno all’arrivo.
Ho scoperto che non puoi bere nulla in corsa, soprattutto se è Gatorade in bicchiere, a meno che tu non voglia farti una doccia zuccherata. E così, arrivati al punto ristoro, si rallentava. E ad ogni punto ristoro passare da una camminata rapida alla corsa diventava sempre più difficile e faticoso.
Poi è arrivato Viale Washington, la sua drittezza e il troppo sole. Un altro punto di ristoro, altri personaggi in macchina che vabbé, lasciamo perdere. Abbiamo superato Wagner, Buonarroti e poi è arrivata la sorpresa a cui non stavo pensando: ho alzato lo sguardo e sulla sinistra mi sono ritrovato CityLife, le Residenze Hadid, il Dritto con la sua copertura finalmente ultimata e le sue stampelle. Una cosa da mozzare il fiato, ancora di più dei 18km all’attivo e una di quelle inquadrature da fermarsi, togliere l’iPhone dalla fascia da braccio e fare una foto. Ma ho evitato.
Intanto, il fatto di aver passato il km 18 ha iniziato in me un conto alla rovescia mentale pericolosissimo. E la fatica si è fatta massima quando siamo passati di nuovo da Corso Sempione. Vedere lì in fondo l’Arco e non riuscire mai mai mai a raggiungerlo.
Fortuna che a bordo percorso c’era chi incitava. E ogni volta che senti un bravi! un forza, vi manca poco, bravissimi! e simili non potevi fare altro che sorridere e mettere il boost per quei 100-200metri.
Poi la svolta su Via Francesco Melzi, l’ultimo punto ristoro al km 20, le gambe ancora una volta ammazzate dall’aver rallentato troppo. Ma Annalisa è ripartita come un razzo e io fatto una fatica a raggiungerla. Ma mancava poco, pochissimo. E ho sentito le gambe ingranare. Uno sguardo al cronometro e quell’idea pazza dello scatto finale per recuperare il più possibile quanto non fatto negli altri 21km.
L’ingresso in Parco Sempione, il mezzo giro esterno dell’Arena, l’ingresso in arena, il traguardo, il sorriso stampato in faccia pensando a queste due ore sei minuti trentatre secondi di fatica e di infinita gioia.
Quand’è che la rifacciamo?
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